Il sisma dovrebbe essere prima di tutto un problema
ingegneristico.
Di fatto, il sisma è oggi prima di tutto un problema
culturale.
Il sisma, come la guerra, da chi non ne ha vissuto in prima
persona le conseguenze tende ad essere percepito come una possibilità teorica
remota, un concetto da scrivania e da burocrati.
Questa percezione la si incontra alla luce del sole nei non
addetti ai lavori, spesso per ingenuità, a volte per interesse, in coloro che,
come committenti, ascoltano con scetticismo le parole del progettista
sull’argomento e accettano con difficoltà le conseguenze in termini di costi e
limitazioni, chiedendosi se non sarebbe stato meglio scegliere qualcuno meno
pignolo e più refrattario a ciò che in fondo considerano un puro adempimento
burocratico formale.
Purtroppo, in questo la normativa vigente troppo spesso non aiuta.
L’attuale D.P.R. 380/01 e s.m.i. sostanzialmente ripropone, modificate in
alcune parti, la ormai storica Legge
64/74 e la Legge 1086/71 senza, però, abrogarle. L’attuale norma tecnica espressa nel D.M. 14/01/2008 contrasta in alcuni punti
importanti con le corrispondenti prescrizioni della L. 64/74 e del D.P.R.
380/01 (ad esempio, l’art. 85 indica un’unica modalità di applicazione delle
azioni sismiche in contrasto con quanto previsto dal più recente D.M., frutto
di una diversa concezione). Questi sono solo due esempi rappresentativi di contenuti
di normativa confusi e contraddittori che non possono che riflettersi
negativamente nella pratica professionale e che necessitano di essere risolti.
Questa percezione però la si incontra a volte anche in fondo
all’anima di qualche progettista che, forse troppo preso da problemi più
immediatamente percepibili, non solo di carattere tecnico, fatica a trovare le
parole per spiegare che non è solo un problema di rispettare norme astratte,
che il sisma è una possibilità concreta, ma silenziosa nel tempo e nello
spazio.
Il sisma è quindi oggi anche un problema disciplinare.
Ci vuole infatti disciplina mentale e onestà intellettuale
per sfuggire alla tentazione di dimenticare che, se le normative antisismiche a
volte rischiano di distaccarsi dalla realtà e determinare situazioni
paradossali e irragionevoli, ciò di cui trattano rimane una realtà fisica
concreta e devastante con la quale il compromesso è sempre perdente; disciplina
e volontà, quindi, nel resistere alla tentazione di aggirare i problemi
dimenticandone la natura fisica e confondendoli con il loro risvolto
burocratico, lasciandosi influenzare dalle richieste e dalle proteste della
committenza.
Il sisma è diventato così un problema etico.
È a questo punto che la cosiddetta etica professionale deve
scendere dall’olimpo astratto delle belle parole per incarnarsi in
comportamenti concreti, in volontà di riportare l’anima e la forza della
cultura ingegneristica laddove troppo spesso è spodestata dalla burocrazia e
dalla sfiducia nella possibilità di un cambiamento non del cosiddetto “sistema”
ma, soprattutto, delle persone e della loro mentalità.
È qui che l’ingegnere deve ricomporre e ritrovare la propria
identità professionale, qui che deve ricordare e, se necessario, imporre ai
committenti e alle istituzioni il proprio ruolo. Ma per farlo deve prima di
tutto ricordarlo a se stesso.
Le difficoltà che si hanno con la committenza e con le
istituzioni sono il risultato di una diffusa sfiducia dell’ingegnere nella
propria figura e nel proprio ruolo; la percezione dell’ingegnere come di una
figura imposta dalla legge ma sostanzialmente inutile è prima di tutto il
riflesso di una sfiducia interiore che silenziosamente condivide e alimenta il
contesto negativo in cui ci si trova ad operare.
Affinché il sisma torni ad essere prima di tutto un problema
ingegneristico e, più in generale, l’ingegneria riconquisti i propri territori
è quindi necessario un salto di qualità culturale, disciplinare ed etico. Un
salto richiesto a ognuno di noi. Un salto che deve esprimersi chiaramente nell’istituzione
che per definizione rappresenta l’ingegneria e le persone che la mettono in
atto: l’Ordine degli Ingegneri.
È solo alla fine di questo percorso che l’Ordine può trovare
la propria identità e la propria ragione d’essere. Solo così abbandonerà
naturalmente le tentazioni da apparato burocratico di potere e gestione per ritrovare,
difendere, accrescere e diffondere la vera cultura dell’ingegneria.
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