CULTURA DELL'INGEGNERIA
domenica 30 giugno 2013
INCONTRO
Caro collega,
dal 09 al 19 Luglio 2013 si terrà il terzo turno, quello senza quorum e decisivo, delle votazioni per il rinnovo del Consiglio del nostro Ordine professionale per il quadriennio 2013-2017. La lista candidata di "Cultura per l'Ingegneria" ritiene che il confronto aperto sia uno dei suoi temi irrinunciabili, ogni osservazione ci sarà utile, e per questo ti invita ad un incontro-confronto che si svolgerà:
Lunedì 8 Luglio – h. 18:00, presso il
Bar UnoVialeSauro
Viale Nazario Sauro, 1
16145 Genova GE
Telefono: 347 2773118.
E’ una terrazza-giardino sul mare, che ricorda il ponte di una nave; ed è ubicata in Viale Nazario Sauro 1 (angolo Corso Italia, tra Villa Gaslini e la Caserma dei Carabinieri di San Giuliano, di fronte ai Bagni Estoril – ved. foto allegata); 90 posti all'aperto, 30 in veranda.
Vedi anche su Facebook ed il ns. blog di discussione:
https://www.facebook.com/pages/Cultura-dellIngegneria/303719646427638?fref=ts ;
http://culturadellingegneria.blogspot.it/ .
Saremo grati per la tua partecipazione. Saremo a disposizione per rispondere alle tue domande, nella speranza di condividere le idee ed il programma che ci proponiamo e che porteremo avanti con l’aiuto e la solidarietà di tutti.
A presto!
I candidati di Cultura dell'Ingegneria.
giovedì 13 giugno 2013
SISMA E CULTURA DELL'INGEGNERIA - DI Andrea Cavicchi
Il sisma dovrebbe essere prima di tutto un problema
ingegneristico.
Di fatto, il sisma è oggi prima di tutto un problema
culturale.
Il sisma, come la guerra, da chi non ne ha vissuto in prima
persona le conseguenze tende ad essere percepito come una possibilità teorica
remota, un concetto da scrivania e da burocrati.
Questa percezione la si incontra alla luce del sole nei non
addetti ai lavori, spesso per ingenuità, a volte per interesse, in coloro che,
come committenti, ascoltano con scetticismo le parole del progettista
sull’argomento e accettano con difficoltà le conseguenze in termini di costi e
limitazioni, chiedendosi se non sarebbe stato meglio scegliere qualcuno meno
pignolo e più refrattario a ciò che in fondo considerano un puro adempimento
burocratico formale.
Purtroppo, in questo la normativa vigente troppo spesso non aiuta.
L’attuale D.P.R. 380/01 e s.m.i. sostanzialmente ripropone, modificate in
alcune parti, la ormai storica Legge
64/74 e la Legge 1086/71 senza, però, abrogarle. L’attuale norma tecnica espressa nel D.M. 14/01/2008 contrasta in alcuni punti
importanti con le corrispondenti prescrizioni della L. 64/74 e del D.P.R.
380/01 (ad esempio, l’art. 85 indica un’unica modalità di applicazione delle
azioni sismiche in contrasto con quanto previsto dal più recente D.M., frutto
di una diversa concezione). Questi sono solo due esempi rappresentativi di contenuti
di normativa confusi e contraddittori che non possono che riflettersi
negativamente nella pratica professionale e che necessitano di essere risolti.
Questa percezione però la si incontra a volte anche in fondo
all’anima di qualche progettista che, forse troppo preso da problemi più
immediatamente percepibili, non solo di carattere tecnico, fatica a trovare le
parole per spiegare che non è solo un problema di rispettare norme astratte,
che il sisma è una possibilità concreta, ma silenziosa nel tempo e nello
spazio.
Il sisma è quindi oggi anche un problema disciplinare.
Ci vuole infatti disciplina mentale e onestà intellettuale
per sfuggire alla tentazione di dimenticare che, se le normative antisismiche a
volte rischiano di distaccarsi dalla realtà e determinare situazioni
paradossali e irragionevoli, ciò di cui trattano rimane una realtà fisica
concreta e devastante con la quale il compromesso è sempre perdente; disciplina
e volontà, quindi, nel resistere alla tentazione di aggirare i problemi
dimenticandone la natura fisica e confondendoli con il loro risvolto
burocratico, lasciandosi influenzare dalle richieste e dalle proteste della
committenza.
Il sisma è diventato così un problema etico.
È a questo punto che la cosiddetta etica professionale deve
scendere dall’olimpo astratto delle belle parole per incarnarsi in
comportamenti concreti, in volontà di riportare l’anima e la forza della
cultura ingegneristica laddove troppo spesso è spodestata dalla burocrazia e
dalla sfiducia nella possibilità di un cambiamento non del cosiddetto “sistema”
ma, soprattutto, delle persone e della loro mentalità.
È qui che l’ingegnere deve ricomporre e ritrovare la propria
identità professionale, qui che deve ricordare e, se necessario, imporre ai
committenti e alle istituzioni il proprio ruolo. Ma per farlo deve prima di
tutto ricordarlo a se stesso.
Le difficoltà che si hanno con la committenza e con le
istituzioni sono il risultato di una diffusa sfiducia dell’ingegnere nella
propria figura e nel proprio ruolo; la percezione dell’ingegnere come di una
figura imposta dalla legge ma sostanzialmente inutile è prima di tutto il
riflesso di una sfiducia interiore che silenziosamente condivide e alimenta il
contesto negativo in cui ci si trova ad operare.
Affinché il sisma torni ad essere prima di tutto un problema
ingegneristico e, più in generale, l’ingegneria riconquisti i propri territori
è quindi necessario un salto di qualità culturale, disciplinare ed etico. Un
salto richiesto a ognuno di noi. Un salto che deve esprimersi chiaramente nell’istituzione
che per definizione rappresenta l’ingegneria e le persone che la mettono in
atto: l’Ordine degli Ingegneri.
È solo alla fine di questo percorso che l’Ordine può trovare
la propria identità e la propria ragione d’essere. Solo così abbandonerà
naturalmente le tentazioni da apparato burocratico di potere e gestione per ritrovare,
difendere, accrescere e diffondere la vera cultura dell’ingegneria.
mercoledì 12 giugno 2013
LA SICUREZZA NEI CANTIERI: quanta è sicurezza e quanta burocrazia?
La sicurezza nei cantieri è un aspetto della professione
dell’ingegnere che vede coinvolti sia liberi professionisti in genere nella
veste di coordinatori per la sicurezza sia dipendenti pubblici e/o privati in
genere nella veste di responsabili dei lavori (R.U.P. negli appalti pubblici).
Il D.Lgs. 81/08 e s.m.i. rappresenta un corpo normativo che
ha tentato di raggruppare, con alcune correzioni, i vari testi normativi del
passato, muovendo dall’articolata normativa degli anni 50 fino alle innovazioni
introdotte dalla 626 e dalla 494. Purtroppo quello che dovrebbe essere un testo
unico non lo è tanto che da una buona idea iniziale sono già diverse le
appendici che vanno ad integrarlo (ad esempio gli accordi stato regioni)
creando per gli addetti ai lavori non poche difficoltà per il rispetto di tutti
gli adempimenti (probabilmente la fretta fu cattiva consigliera del
legislatore…).
In aggiunta il mondo dei cantieri raggruppa, oltre che
diverse professionalità, diverse estrazioni culturali ed etniche causando in
diversi casi problematiche di comprensione e di informazione.
In Italia la norma, in particolare negli ultimi 20 anni, è
diventata molto stringente creando un sistema eccessivamente formalistico e
sanzionatorio che colpisce soprattutto datori di lavoro e professionisti,
trascurando spesso le responsabilità dirette
del lavoratore in merito ad omissioni specifiche in materia. Gli ultimi 5 anni hanno visto una crescente
attenzione su questo aspetto del
problema con un conseguente incremento di sanzionamenti diretti al lavoratore;
di fatto, però, quanto si osserva anche
in realtà medio grandi è la mancanza di consapevolezza delle omissioni e dei
rischi ad esse correlati e la percezione dell’organo di vigilanza come di un’entità
burocratica estranea e puramente sanzionatoria. Questo stato di cose è il risultato di un
percorso storico complesso che vede agli estremi da una parte l’atteggiamento
furbesco del controllato e dall’altra il comportamento rigidamente burocratico
e formale del controllore che agisce in forza di una presunta letteralità della
norma trascurando talvolta il buon senso
tecnico; un esempio su tanti è il
problema della messa a terra dei ponteggi, spesso causa di accesa diatriba con
l’organo di vigilanza che chiede, spesso, la messa a terra prescindendo da
qualsiasi considerazione tecnica.
Questo è solo un esempio di come spesso il senso tecnico non
integri correttamente l’applicazione della legge andando ad alimentare un clima
di tensione e di incomprensione che fa la fortuna di chi sul malinteso fa
affidamento.
Un altro chiaro esempio
che coinvolge tutti è la legge regionale
(Liguria) 5/2010 “NORME PER LA PREVENZIONE DELLE CADUTE DALL’ALTO NEI
CANTIERI EDILI”, una norma locale che si pone in contrasto con quanto previsto dalla
legge nazionale sulle attribuzioni di responsabilità e che soprattutto si esprime in termini
paradossali su argomenti di importanza essenziale prevedendo ad esempio che il
presidio di sicurezza (in questo caso la linea vita) sia utilizzato contemporaneamente
alla sua installazione Una legge regionale così concepita e redatta non può che
creare una pericolosa confusione tra gli addetti ai lavori, siano essi
controllati o controllori, con conseguenze nefaste nei comportamenti di
entrambe le parti e con il risultato finale di alimentare la diffidenza e la
sensazione di inutilità che l’apparato legislativo troppo spesso suscita.
Inoltre, la legge regionale determina un ulteriore aspetto
inquietante…prevede di risolvere il problema delle cadute dall’alto producendo
carta ed imponendo sistemi di sicurezza a scapito di altri talvolta più
efficaci, per cui con un approccio prescrittivo e impositivo che vengono
accolti dall’utenza come l’ennesimo balzello da pagare (una ditta specializzata
ed un tecnico). Come già ho espresso più volte questo sistema di affrontare i problemi
non li risolve, o meglio li risolve sulla carta, ma non nella sostanza, infatti
capita spesso di vedere progetti di linee vita fatti in modo superficiale e
talvolta con dubbia efficacia che però raggiungono lo scopo di “sbloccare” le
pratiche amministrative.
Questa è sicurezza? A mio parere no!
Come in altre discipline l’approccio alla sicurezza nei
cantieri dovrebbe nascere da un approccio mentale che dia valore alla sicurezza
dei lavoratori come un dato di fatto e non come una necessità di legge per
evitare una sanzione o un’ammenda, dovrebbe essere incentivato un sistema
premiante per chi lavora in sicurezza sia esso datore di lavoro, committente,
professionista o lavoratore in modo che sia naturale agire con coscienza e
rispetto.
Dovremmo finalmente parlare di LAVORO SICURO e non solo di
sicurezza, superando il dualismo fra lavorare e produrre, da una parte e fare
sicurezza, dall’altra. La sicurezza sul lavoro deve divenire un processo per
lavorare bene e produrre meglio.
A livello di professionisti possiamo dare i suggerimenti
corretti per cambiare i punti di vista?
La risposta è si.
Possiamo cercando di fare comprendere agli
amministratori gli aspetti tecnici in modo da creare una base oggettiva di
confronto su cui tutti si è sullo stesso piano, creando un canale comunicativo
e formativo con gli organi di vigilanza scambiando così informazioni sugli
aspetti tecnici sulle questioni più delicate (è interesse comune ridurre i
rischio di incidente sul luogo di lavoro), creare delle linee guida trasversali
con gli altri ordini e collegi professionali ad alto contenuto tecnico per
favorire la diffusione della cultura e dell’analisi dei problemi e quindi avere
anche delle basi di giudizio oggettivo che possano integrare gli aspetti di
legge ove questi non entrano nel merito delle quantificazioni.
A titolo di esempio:
- come si calcolano gli ancoraggi di un ponteggio (i ponteggi in genere collassano per problemi di instabilità dell’equilibrio o per rottura o scarsa quantità di ancoranti);
- come si calcola un ponteggio integralmente, sia sotto l’aspetto strutturale e sotto l’aspetto elettrico e quali elementi devono contenere gli elaborati tecnici;
- come si calcola una linea vita;
- come si calcola la stabilità di una parete di scavo;
- come si redige un piano di demolizione e quali sono gli aspetti strutturali che vengono toccati;
- come si verificano le puntellature;
- come si calcola un quadro elettrico di cantiere ed un impianto con speciale riferimento all’impianto di terra,
Questi sono in genere gli aspetti dove, come professionisti,
veniamo criticati poiché su questi aspetti in genere vi è carenza di analisi nei
piani di sicurezza.
di: Andrea Cavicchi ed Enrico Sterpi
martedì 11 giugno 2013
EDILIZIA: passato, presente e futuro ...
In tempo di crisi uno dei settori che ne ha maggiormente
subito gli effetti è stato quello dell’edilizia, soprattutto in un paese dove
l’investimento per eccellenza è stato il mattone, basti pensare a quanto è
stato costruito dal dopoguerra ad oggi.
Un’analisi critica di quanto accaduto in passato suggerisce qualche
riflessione per comprendere su un settore che è entrato in crisi profonda (presente)
e contribuire a discutere quali strategie potrebbero farne uscire (il futuro)…
Nel dopoguerra l’Italia ha avviato un processo edificativo ciclopico,
indotto anche dalla spinta propulsiva di grandi aziende radicate sul territorio:
negli anni ’70 la popolazione di Genova era dell’ordine del milione di persone
e vi erano società quali: Italisider, Italimpianti, Ansaldo, Morteo, Fincantieri,
solo per citare le prime che vengono in mente…. oltre ad essere, Genova, una
città con uno dei più importanti porti d’Europa…...
Oggi questa realtà è inesorabilmente cambiata: l’apparato industriale
italiano, ed ancor più quello genovese, ha visto una forte contrazione delle
attività industriali genovesi e del relativo indotto, con una riduzione della
popolazione oggi di poco superiore ai 600 mila abitanti.
Negli anni ’50 / ’60 la crescita industriale a Genova ha prodotto
un’edificazione massiccia, sostanzialmente ordinata se confrontata ad altre
città italiane, ma con le caratteristiche tipiche sia dell’epoca che di un
paese molto più povero dell’Italia in cui viviamo: un consumo di territorio
senza precedenti, sistemi infrastrutturali spesso insufficienti per la nuova
densità abitativa, impermeabilizzazione estesa dei suoli, ed una qualità
edilizia buona per l’epoca, mediocre per gli standard attuali, e sebbene vi
siano state anche punte di eccellenza, numerosi sono gli esempi di qualità
estremamente bassa. Oggi si ritrovano strutture in cemento armato che sono
talmente mal fatte che quale soluzione, per rimediare alle lacune, non
resterebbe che l’abbattimento: calcestruzzi con resistenze dell’ordine dei
30-50 kg/cmq (3-5 MPa direbbero i moderni), calcestruzzi degradati da pessimi
mix design o, peggio ancora, disintegrati, insieme con le armature, per effetto
dei cloruri contenuti della sabbia di mare utilizzata.
Oggi Genova ha circa 600.000 abitanti e non solo ha
conservato il proprio patrimonio edilizio per circa 1.000.000, ma lo ha anche
aumentato in conseguenza di recenti e vasti programmi di edilizia residenziale
talvolta al centro di grandi discussioni,
come: il CEP di Voltri, le dighe di Begato, le lavatrici di Prà, per
arrivare alla recente edificazione di S. Benigno, solo per citarne alcune su
Genova, ma la situazione delle città della provincia non è particolarmente
migliore. Il boom del mercato immobiliare degli ultimi anni, fino al 2008/2009,
ha illuso che potesse esistere un mercato edilizio in continua espansione, ma
così non è. L’epilogo di questa condizione ha avuto effetti devastanti sul
territorio:
- consumo di territorio, con alterazioni irreversibili, e con riduzione delle aree boschive o comunque delle aree permeabili;
- aumento delle superfici impermeabili, senza una conseguente regimazione delle acque superficiali;
- moltiplicazione di “cadaveri” edilizi, o comunque di immobili agonizzanti;
- crollo dei valori immobiliari a causa della grande offerta e della riduzione della domanda;
- un parco edilizio di qualità scadente.
Questo è lo scenario che oggi si propone ad amministratori
ed ingegneri. Questa situazione aiuta la città nel suo processo evolutivo? La
risposta è no. Forse il pensiero dell’edilizia deve essere rivisto, l’edilizia
del futuro è forse una edilizia che smetterà di consumare territorio, punterà
sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ed ove servisse
diradandolo e creando nuovi spazi.
Cosa si può fare?
Gli ingegneri dovrebbero diventare parte attiva nei
confronti della pubblica amministrazione, per suggerire soluzioni che siano in
controtendenza rispetto a quello che accade oggi: abbandonare un’impostazione speculativa,
non aspettare che il mondo delle costruzioni riparta con i ritmi frenetici
degli ultimi anni… potrebbe non accadere con il ritmo degli ultimi anni,
potrebbe accadere con ritmi ridotti, o potrebbe anche non accadere più, se a
Genova vivono 600.000 persone e in città vi è una capacità di alloggiamento di
oltre 1.000.000 di persone…è forse illusorio pensare ad una ripresa
dell’edificazione con i ritmi del passato…
Forse il pensiero dell’edilizia deve essere rivisto,
l’edilizia del futuro è forse una edilizia che smetterà di consumare
territorio, punterà sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ed
ove servisse diradandolo e creando nuovi spazi, favorendo il recupero delle
superfici impermeabili, ad esempio con giardini pensili a rilascio graduale di
acqua o la realizzazione vasche polmone a raccolta delle acque bianche degli
edifici che poi possano essere riutilizzate per pulire le strade o annaffiare i
giardini, un’edilizia che nel processo manutentivo del territorio punti
consapevolmente sulla riduzione del rischio sismico (diversi edifici, tra cui alcune
scuole, dovranno essere eliminati in quanto di concezione e realizzazione non
conforme alle norme sismiche), sulla qualificazione igienica ed energetica (i
due aspetti non possono essere disgiunti, avere un edificio in classe A
determina la realizzazione di sistemi di ventilazione controllata che limitino
e dispersioni).
L’edilizia e tutto il suo mondo se vogliono uscire dalla
crisi devono cambiare obiettivi e punti di vista, i professionisti e le
amministrazioni devono indurre nei cittadini la consapevolezza che il
territorio va manutenuto. Gli enti di governo del territorio dovrebbero
promuovere con dei bonus per chi utilizzerà tale approccio in quanto che
riutilizza e promuove la qualità al posto della quantità deve essere premiato.
Va tenuto conto che una revisione del mondo dell’edilizia
non porterebbe alla contrazione degli investimenti, come è oggi, ma sarebbe un
nuovo modello di investimento, più solido ed efficace nel rimettere in moto un’economia
divenuta improduttiva.
Le strade che gli ordini professionali possono percorrere
sono molteplici:
proseguire in una cultura della crescita continua, dello
scavo e della costruzione, magari cambiando taglio edilizio, ci appare una
scelta suicida perché legata ad un passato esaurito;
gestire la contingenza in attesa di tempi migliori, non
conduce ad altro che a stagnazione;
farsi promotori di un cambio culturale: promuovere corsi di
aggiornamento alle nuove tecnologie, informare i tecnici delle nuove linee di
evoluzione della tecnologia, anche con riferimento a cosa sta accadendo negli
altri paesi evoluti, sollecitare gli Enti pubblici alla modernità, consapevoli
che negli enti pubblici operano molti colleghi che, pure se oberati da
incombenze ciclopiche, parlano la nostra stessa lingua di Ingegneri e
condividono il nostro stesso modo di sentire. E per essere concreti, si pensi a
cosa sta avvenendo in Germania, dove il territorio non viene più devastato ma
si punta su un’edilizia a bassissimo impatto ambientale, ecocompatibile (per
quanto possibile), ad altissima efficienza e ad altissima tecnologia. Questa è
una delle possibili strade dell’edilizia, una di quelle strade dove
l’evoluzione tecnologica consegna ampi spazi di eccellenza tecnologica che gli
Ingegneri possono (e devono) coprire…….
…..noi vogliamo collocarci all’interno di questo tipo di
approccio virtuoso….. ma abbiamo bisogno dell’entusiasmo e della collaborazione
degli altri colleghi !
di: A. Brencich ed E. Sterpi
lunedì 20 maggio 2013
MOTIVAZIONI
Da
alcuni anni gli ordini professionali, tra cui il nostro, attaccati da più parti
con l’accusa di protezionismo e corporativismo, sono scivolati in una sorta di
crisi d’identità. Le critiche mosse agli ordini professionali vengono
giustificate con la necessità d’introdurre, nella professione, i principi della
libera concorrenza, assumendo che questo migliori necessariamente il livello
tecnico delle prestazioni e ne abbassi, al contempo, i costi. E’ vero? Si vede quotidianamente
come la cultura dell’ingegneria sia alla mercé del massimo ribasso, con uno
svilimento dell’attività professionale e del professionista stesso che non è
più visto come un valore aggiunto ai processi produttivi (siano essi edilizi,
industriali o di servizi), ma un mero costo obbligatorio per legge, che deve
essere come tale minimizzato.
Cultura dell’Ingegneria vuole proporre la professione dell’ingegnere
come un modello culturale in divenire, nella formazione continua da un lato,
nell’integrazione con i processi decisionali e produttivi dall’altro, in cui
l’ingegnere sia portato al centro del processo progettuale, e non sia un burocrate
marginale, imprigionato da norme e procedure, come spesso è oggi. Per questo, la
lista è composta da ingegneri di tutti i settori (Civile e Ambientale,
Industriale e dell’Informazione) con provenienza dal mondo della libera
professione, dal settore privato e pubblico (istituzionale ed accademico).
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