In tempo di crisi uno dei settori che ne ha maggiormente
subito gli effetti è stato quello dell’edilizia, soprattutto in un paese dove
l’investimento per eccellenza è stato il mattone, basti pensare a quanto è
stato costruito dal dopoguerra ad oggi.
Un’analisi critica di quanto accaduto in passato suggerisce qualche
riflessione per comprendere su un settore che è entrato in crisi profonda (presente)
e contribuire a discutere quali strategie potrebbero farne uscire (il futuro)…
Nel dopoguerra l’Italia ha avviato un processo edificativo ciclopico,
indotto anche dalla spinta propulsiva di grandi aziende radicate sul territorio:
negli anni ’70 la popolazione di Genova era dell’ordine del milione di persone
e vi erano società quali: Italisider, Italimpianti, Ansaldo, Morteo, Fincantieri,
solo per citare le prime che vengono in mente…. oltre ad essere, Genova, una
città con uno dei più importanti porti d’Europa…...
Oggi questa realtà è inesorabilmente cambiata: l’apparato industriale
italiano, ed ancor più quello genovese, ha visto una forte contrazione delle
attività industriali genovesi e del relativo indotto, con una riduzione della
popolazione oggi di poco superiore ai 600 mila abitanti.
Negli anni ’50 / ’60 la crescita industriale a Genova ha prodotto
un’edificazione massiccia, sostanzialmente ordinata se confrontata ad altre
città italiane, ma con le caratteristiche tipiche sia dell’epoca che di un
paese molto più povero dell’Italia in cui viviamo: un consumo di territorio
senza precedenti, sistemi infrastrutturali spesso insufficienti per la nuova
densità abitativa, impermeabilizzazione estesa dei suoli, ed una qualità
edilizia buona per l’epoca, mediocre per gli standard attuali, e sebbene vi
siano state anche punte di eccellenza, numerosi sono gli esempi di qualità
estremamente bassa. Oggi si ritrovano strutture in cemento armato che sono
talmente mal fatte che quale soluzione, per rimediare alle lacune, non
resterebbe che l’abbattimento: calcestruzzi con resistenze dell’ordine dei
30-50 kg/cmq (3-5 MPa direbbero i moderni), calcestruzzi degradati da pessimi
mix design o, peggio ancora, disintegrati, insieme con le armature, per effetto
dei cloruri contenuti della sabbia di mare utilizzata.
Oggi Genova ha circa 600.000 abitanti e non solo ha
conservato il proprio patrimonio edilizio per circa 1.000.000, ma lo ha anche
aumentato in conseguenza di recenti e vasti programmi di edilizia residenziale
talvolta al centro di grandi discussioni,
come: il CEP di Voltri, le dighe di Begato, le lavatrici di Prà, per
arrivare alla recente edificazione di S. Benigno, solo per citarne alcune su
Genova, ma la situazione delle città della provincia non è particolarmente
migliore. Il boom del mercato immobiliare degli ultimi anni, fino al 2008/2009,
ha illuso che potesse esistere un mercato edilizio in continua espansione, ma
così non è. L’epilogo di questa condizione ha avuto effetti devastanti sul
territorio:
- consumo di territorio, con alterazioni irreversibili, e con riduzione delle aree boschive o comunque delle aree permeabili;
- aumento delle superfici impermeabili, senza una conseguente regimazione delle acque superficiali;
- moltiplicazione di “cadaveri” edilizi, o comunque di immobili agonizzanti;
- crollo dei valori immobiliari a causa della grande offerta e della riduzione della domanda;
- un parco edilizio di qualità scadente.
Questo è lo scenario che oggi si propone ad amministratori
ed ingegneri. Questa situazione aiuta la città nel suo processo evolutivo? La
risposta è no. Forse il pensiero dell’edilizia deve essere rivisto, l’edilizia
del futuro è forse una edilizia che smetterà di consumare territorio, punterà
sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ed ove servisse
diradandolo e creando nuovi spazi.
Cosa si può fare?
Gli ingegneri dovrebbero diventare parte attiva nei
confronti della pubblica amministrazione, per suggerire soluzioni che siano in
controtendenza rispetto a quello che accade oggi: abbandonare un’impostazione speculativa,
non aspettare che il mondo delle costruzioni riparta con i ritmi frenetici
degli ultimi anni… potrebbe non accadere con il ritmo degli ultimi anni,
potrebbe accadere con ritmi ridotti, o potrebbe anche non accadere più, se a
Genova vivono 600.000 persone e in città vi è una capacità di alloggiamento di
oltre 1.000.000 di persone…è forse illusorio pensare ad una ripresa
dell’edificazione con i ritmi del passato…
Forse il pensiero dell’edilizia deve essere rivisto,
l’edilizia del futuro è forse una edilizia che smetterà di consumare
territorio, punterà sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ed
ove servisse diradandolo e creando nuovi spazi, favorendo il recupero delle
superfici impermeabili, ad esempio con giardini pensili a rilascio graduale di
acqua o la realizzazione vasche polmone a raccolta delle acque bianche degli
edifici che poi possano essere riutilizzate per pulire le strade o annaffiare i
giardini, un’edilizia che nel processo manutentivo del territorio punti
consapevolmente sulla riduzione del rischio sismico (diversi edifici, tra cui alcune
scuole, dovranno essere eliminati in quanto di concezione e realizzazione non
conforme alle norme sismiche), sulla qualificazione igienica ed energetica (i
due aspetti non possono essere disgiunti, avere un edificio in classe A
determina la realizzazione di sistemi di ventilazione controllata che limitino
e dispersioni).
L’edilizia e tutto il suo mondo se vogliono uscire dalla
crisi devono cambiare obiettivi e punti di vista, i professionisti e le
amministrazioni devono indurre nei cittadini la consapevolezza che il
territorio va manutenuto. Gli enti di governo del territorio dovrebbero
promuovere con dei bonus per chi utilizzerà tale approccio in quanto che
riutilizza e promuove la qualità al posto della quantità deve essere premiato.
Va tenuto conto che una revisione del mondo dell’edilizia
non porterebbe alla contrazione degli investimenti, come è oggi, ma sarebbe un
nuovo modello di investimento, più solido ed efficace nel rimettere in moto un’economia
divenuta improduttiva.
Le strade che gli ordini professionali possono percorrere
sono molteplici:
proseguire in una cultura della crescita continua, dello
scavo e della costruzione, magari cambiando taglio edilizio, ci appare una
scelta suicida perché legata ad un passato esaurito;
gestire la contingenza in attesa di tempi migliori, non
conduce ad altro che a stagnazione;
farsi promotori di un cambio culturale: promuovere corsi di
aggiornamento alle nuove tecnologie, informare i tecnici delle nuove linee di
evoluzione della tecnologia, anche con riferimento a cosa sta accadendo negli
altri paesi evoluti, sollecitare gli Enti pubblici alla modernità, consapevoli
che negli enti pubblici operano molti colleghi che, pure se oberati da
incombenze ciclopiche, parlano la nostra stessa lingua di Ingegneri e
condividono il nostro stesso modo di sentire. E per essere concreti, si pensi a
cosa sta avvenendo in Germania, dove il territorio non viene più devastato ma
si punta su un’edilizia a bassissimo impatto ambientale, ecocompatibile (per
quanto possibile), ad altissima efficienza e ad altissima tecnologia. Questa è
una delle possibili strade dell’edilizia, una di quelle strade dove
l’evoluzione tecnologica consegna ampi spazi di eccellenza tecnologica che gli
Ingegneri possono (e devono) coprire…….
…..noi vogliamo collocarci all’interno di questo tipo di
approccio virtuoso….. ma abbiamo bisogno dell’entusiasmo e della collaborazione
degli altri colleghi !
di: A. Brencich ed E. Sterpi
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